“Flee” di Jonas Poher Rasmussen

Flee è una storia straordinaria, poetica, di cuore, e potente, creativamente audace. È un documentario realizzato con una miscela efficace di animazione e filmati d’archivio, che racconta la storia di un rifugiato afgano omosessuale.

Amin (nome di fantasia) è un rifugiato afgano 36enne, che ora vive felicemente con il suo fidanzato in Danimarca. È sua la voce narrante del film che rievoca i ricordi dolorosi e traumatici che lo hanno portato a diventare un profugo: come si è fatto strada dalla Kabul dilaniata dalla guerra negli anni ’80 fino ad oggi, docente universitario, che sta per sposarsi con il suo compagno, e sta vivendo una vita che non avrebbe mai pensato fosse possibile.

Flee è il racconto di una fuga che si trasforma in un inno alla vita e alla libertà, un percorso umano intessuto di sfide e gioia, una cronaca della ricerca della salvezza intesa come felicità di esistere.
Il regista e documentarista radiofonico Jonas Poher Rasmussen ha incontrato per la prima volta Amin su un treno locale quando erano studenti molto giovani, visti i pochissimi immigrati, Amin spiccava tra la folla.

Dopo il liceo, Jonas ha iniziato a lavorare per la radio, occupandosi di documentari.  Con il tempo lui e Amin hanno pensato di lavorare insieme ad una storia sul passato di Amin, ma quest’ultimo non era ancora pronto a venire a patti con le sue esperienze – troppo dolore e sofferenza sono rimasti nascosti sotto la superficie, e temeva sia per la sua sicurezza che per quella della sua famiglia, così abbandonarono l’idea sapendo che l’avrebbero visitata di nuovo al momento giusto.

… Che finalmente è arrivato.

Più piccolo di 5 figli, con un padre ufficiale militare, la prima casa che ricorda è a Kabul, capitale dove il governo appoggiato dai sovietici in Afghanistan soccombe ai Mujahedeen finanziati dagli americani. Per documentare le parole di Amin, l’animazione cede qui il passo – come accade quasi sempre quando i racconti di Amin riguardano la cronaca storico/politica –  a filmati d’archivio e vecchi notiziari. I ricordi si susseguono con profondità dettagliata, come se regista e protagonista della vicenda stessero sfogliano un doloroso album di ricordi. È impressionante la capacità di coinvolgimento che Flee riesce ad attrarre.


La fuga a Mosca – da un regime oppressivo, che ha ucciso membri della sua famiglia, all’altro – il viaggio della speranza per lasciare la Russia e cercare salvezza nel nord Europa. Questo film indaga con tatto delicato i sentimenti di un giovane profugo gay. Amin scopre la sua sessualità per l’attrazione provata per l’attore Jean-Claude Van Damme, che immagina strizzargli l’occhio da un poster appeso alla parete della sua camera da letto a Kabul.
In Afghanistan non esiste nemmeno una parola per omosessualità.

La nitida animazione in 2D, la storia senza fronzoli, con un approccio narrativo che ricorda Valzer con Bashir, le conversazioni catartiche – il passato ha inferto una cicatrice emotiva sempre pronta a riaprirsi nel futuro del protagonista –  tra il regista e Amin, rendono Flee un film abbagliante nel suo attivismo.