“I Dannati” di Roberto Minervini

Nella sezione Un Certain Regard del 77° Festival di Cannes, Roberto Minervini – che forse avrebbe meritato il prestigio del Concorso Ufficiale – presenta la sua prima opera di finzione.
Il 54enne documentarista marchigiano (Monte Urano), americano per amore, scrive e dirige un film – nello stato del Montana – di finzione dalla dimensione filosofica e disperata  (il rimando a La sottile linea rossa (1998) di Malick arriva immediato), dal forte impatto emotivo e riflessivo.

Con la fotografia di Carlos Alfonso Corral e il montaggio Marie-Hélène Dozo, I Dannati è ambientato nel duro inverno del 1862, durante la Guerra di Secessione americana.
L’esercito degli Stati Uniti invia ad ovest una compagnia di volontari con il compito di perlustrare e presidiare le terre inesplorate.
La missione in terre ostili e fredde, non mappate, dove sono appostate pattuglie di sudisti, travolge un pugno di uomini in armi, svelando loro il senso ultimo del proprio viaggio verso la frontiera.


«È un film che parte da lontano – racconta il regista a Cannes durante la conferenza stampa -, volevo confrontarmi con la guerra, ma al di là della retorica di giusta causa, vittoria e valore, riscrivere invece la guerra con il metodo e i principi del cinema del reale, ma in un ambito di finzione».

Dal 16 maggio al cinema con Lucky Red, girato con un budget di due milioni e mezzo e attori non professionisti, I Dannati è raccontato attraverso lo sguardo intimo e pulito di Minervini che osserva un gruppo di uomini: sono contadini che hanno bisogno di soldi, non sono soldati. 
Nei discorsi dei più giovani c’è il patriottismo e il soprannaturale, la Nazione e la Bibbia, e credono di essere al servizio di entrambi; gli anziani invece mettono prima la famiglia della nazione. 
Ma alla fine in un lento logoramento della fede e della speranza, si rassegnano nella nebbia solitaria di una guerra che forse non hanno ben compreso.
Dal richiamo del film di Malick citato sopra piano piano avanza un altro riferimento Il deserto dei tartari di Dino Buzzati.


«Il mio metodo di lavoro è rimasto essenzialmente lo stesso, combinando situazioni di finzione e momenti di osservazione. Una cosa che ho sempre fatto è usare ogni elemento, che sia di finzione o organicamente presente, come strumento per indurre una partecipazione full immersion degli interpreti del film».

Ne I Dannati i volti e i dialoghi, le riflessioni amare abbracciano l’autenticità da rendere quella guerra ogni guerra: disumana, irrazionale.