Nel nord della Tunisia, in una fattoria, Aicha vive con il marito e il figlio più piccolo, sono abbandonati all’angoscia da quando i due figli maggiori sono partiti partiti in guerra per combattere con l’ISIS in Siria. La famiglia deve fare i conti non solo il dolore e lo shock, ma anche la vergogna nei confronti degli abitanti del villaggio per avere due figli che sono diventati jihadisti. Non aiuta il fatto che Brahim, il marito, un uomo burbero e taciturno, dia la colpa a lei che li ha viziati. Al piccolo Adam viene detto che i suoi fratelli vivono in Italia. Ma un giorno, Mehdi ritorna, portando con sé un sentimento di oscura minaccia, comunica che il fratello è morto, e con lui c’è una misteriosa donna incinta, Reem.
Aicha è combattuta tra l’istinto materno e la ricerca della verità.
Per questa storia Meryam Joobeur, nata in Tunisia e residente in Canada, si è ispirata al suo cortometraggio del 2018, Brotherhood, candidato all’Oscar, ritrovando anche gli stessi attori, come Mehdi, Amine e Adam interpretati dai veri fratelli Chaker e Rayen Mechergui.
Diviso in tre capitoli (“le conseguenze”, “un’ombra”, “il risveglio”), Who Do I Belong To cerca di inquadrare la prospettiva della storia, tra presente e passato (flashback), dal punto di vista materno (a differenza del corto che analizzava la prospettiva del padre).
Insieme al direttore della fotografia Vincent Gonneville, la regista ha scelto di amplificare i sentimenti con scene oniriche alternate a sequenze intime e minimaliste, con l’aria della campagna tunisina alternata al senso di claustrofobia delle mura domestiche.
C’è una sovrabbondanza dosata male di toni realistici e di fiction che appesantisce il tratteggio dei personaggi.
È comunque un dramma interessante sui danni psicologi che l’ISIS perpetua anche a chilometri di distanza dalla guerra.