Presentato con successo a Un Certain Regard a Cannes74 e poi al Festival di Giffoni, Una voce fuori dal coro è il primo lungometraggio di Yohan Manca, in sala dal 24 novembre distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
Una voce fuori dal coro è un racconto di formazione scritto con abilità e diretto con sguardo sincero e amorevole. Senza sforzi o pietismi commuove raccontando una realtà complessa con semplice spontaneità, avvalendosi di attori bravi che interpretano ogni battuta con scioltezza e naturalezza, e di un finale “come solo i francesi” riescono a realizzare.
Nour (l’eccenzionale Maël Rouin Berrandou) ha quattordici anni; ultimo di quattro fratelli, ha imparato presto a vivere. Il padre di origine italiana è morto, la mamma, di origine nordafricana, è attaccata a una macchina per respirare, in coma, per poco o ancora per molto tempo, non è dato sapere.
In un sobborgo del Sud della Francia, i quattro fratelli sono abituati a fare famiglia tra loro, a modo loro in un infinito labirinto di case popolari. Non hanno alternative: chi spaccia, chi fa il gigolò, chi vende articoli contraffatti. Li tiene uniti la madre, che intendono curare amorevolmente e far morire a casa, dove ha vissuto con loro, non in ospedale come pretenderebbe uno zio. Quando aumentano i bip del monitor che segna i battiti del cuore della donna, Nour punta le casse audio del computer verso la sua stanza e clicca play su brani di musica lirica.
L’aria “Una furtiva lagrima” è stata la colonna sonora del fidanzamento dei suoi genitori, suo padre l’ha cantata a sua madre per conquistarla. Nour conosce Pavarotti, ma poco o nulla di lirica. Un giorno mentre è alle prese con uno dei tanti lavoretti socialmente utili, in una scuola popolare, Nour sente uscire da un’aula la voce di Pavarotti che canta “Nessun Dorma”. Sbircia dalla finestra, e scopre un corso di musica tenuto da un soprano, Sarah (Judith Chemla), che lo invita a partecipare, ma Nour inizialmente rifiuta.
Rifiuta perché è cresciuto in un mondo dove occorre guadagnare soldi per vivere, ma soprattutto per comprare le medicine alla madre. E l’Arte non rientra nell’elenco delle ozpioni disponibili. Eppure Nour lentamente, spronato da Sarah, diventa parte della classe e impara non solo a impostare la voce nella sua amata “Una furtiva lagrima”, ma alla fine canta anche il Brindisi da “La Traviata”.
Il finale lieto nella realtà non esiste mai. Ma la speranza sì.
Girato in 16 mm «Il film è liberamente adattato da un’opera teatrale di Hédi Tillette de Clermont-Tonnerre, che ho portato in scena e recitato quando avevo 17 anni – dichiara il regista Yohan Manca – . È composto da quattro monologhi, recitati da quattro fratelli. Uno dei suoi temi è l’incontro di un personaggio con l’arte, contro ogni previsione. E questa esperienza mi è molto familiare perché è ciò che io stesso ho vissuto. Ho messo molti ricordi personali in questo film, della mia giovinezza, della mia infanzia. Come i quattro fratelli del film, vengo anch’io da un quartiere popolare, a sud di Seine-et-Marne e Pantin, a est di Parigi. Anche io sono di origine mediterranea, spagnolo per parte di madre, italiano per parte di padre, e ho voluto fare i conti con quelle origini, e con l’immigrazione dal bacino del Mediterraneo. Volevo raccontare la vita dei quartieri popolari lontano dalle immagini veicolate continuamente dai canali di informazione, che trattano questi territori solo come luoghi pericolosi, popolati da teppisti. La mia scelta è stata quella di mostrare cosa c’è di bello e romantico in questi territori. E volevo indirizzare tutta l’attenzione dello spettatore verso un soggetto eterno: il modo in cui l’arte può salvarci»
Una voce fuori dal coro racconta una storia fatta di umanità e tenerezza: sul potere dell’Arte in una classe sociale emarginata, sui sogni (aspirazioni), sui legami indissolubili tra fratelli, sul dolore e sulla perdita all’interno di un mondo brutale.
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