“The Batman” di Matt Reeves

Era un Halloween oscuro e tempestoso…
Inizia così un nuovo film sul fumetto di Bob Kane che cominciò a uscire nel 1939.
E oscuro e tenebroso è questo nuovo Batman, un vigilante che non si muove nell’ombra, ma è lui stesso l’ombra tenebrosa sulla brutale Gotham City, preda della criminalità organizzata.

Scritto dal regista Matt Reeves (Cloverfield, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie) con Peter Craig (The Town, Hunger Games parte I e II), The Batman non dice nulla di originale o stravolgente, ma reinventa questo personaggio iconico sul grande schermo. Batman non è un supereroe, è un vendicatore, o psicopatico mascherato come lo chiama qualcuno, un essere umano dal cuore oscuro, che si muove dentro una città senza legge di pioggia e dolore. 

Reeves fa scelte encomiabili: si sgancia dalle saghe precedenti; la storia del rampollo Bruce Wayne non parte dalla sua infanzia (è orfano sì), ma lo introduce già alleato da quasi due anni del commissario Gordon (forse unico personaggio positivo senza lati oscuri al momento); non ci sono super villain, ma torvi e loschi individui e criminali, comunque nemesi – ovvio – del protagonista; non è un film di gadget, ma di dettagli; non sceglie un genere, ma con abilità, con naturalezza spontanea, come non potessere fare altro, si muove tra noir, poliziesco, thriller, fantasy, avventura, insomma: non scherza, non gigioneggia, qui tutto è serio; non da ultimo ha scelto un cast che buca lo schermo per carisma (anche Robert Pattinson nel ruolo di Wayne/Batman, sì! Anzi, soprattutto lui).

Il Batman di Reeves è vulnerabile, cade, si rialza, ma prima di rialzarsi avverte tutti i colpi che ha preso; ha muscoli, ma tante cicatrici sul corpo. I due anni passati in strada a difendere la città hanno lasciato i segni anche sull’armatura. Non è un playboy con una bat caverna segreta, è un giovane miliardario, arrabbiato e imbronciato – soprattutto incapace di tenere a bada le sue emozioni – con al suo fianco un ex agente del MI6, il caro Alfred, insomma più che supereroe, una super spia.

Dura quasi tre ore, sono tante è vero, ma Reeves, Pattison e tutto il cast non danno segni di stanchezza. Saranno le tre ore meglio spese al cinema (dopo Ennio di Giuseppe Tornatore, nemmeno a dirlo).

Il sindaco di Gotham City viene assassinato da un serial killer pochi giorni prima della sua potenziale rielezione, lasciando dietro di sé il primo di numerosi corpi mutilati e indizi provocatori.

È l’Enigmista, personaggio che lascia dietro cadaveri e indizi, indovinelli inseriti in un bigliettino buffo destinati a The Batman. Gordon e Batman si mettono alla caccia di questo serial killer il cui obiettivo è quello di sovvertire l’ordine costituito, annullarlo, apocatticamente, e rifondare Gotham City.

Nel clima di panico esteriore e inquietudine interiore, aumentato da questo nuovo maniaco che vuole far conoscere a tutti le cospirazioni dentro ai Palazzi di Gotham, Bruce Wayne/Batman deve accettare la sfida che l’Enigmista gli ha lanciato, e inaspettatamente viene a scoprire una verità sui suoi genitori che rischia di far crollare tutto ciò sui cui si sta aggrappando per non sprofondare.
Un irriconoscibile Colin Farrell è Oswald Cobblepot, meglio noto come Pinguino; John Turturro è il boss della malavita Carmine Falcone; Paul Dano è l’Enigmista; Zoë Kravitz è Catwoman una “collega” vigilante di Batman, almeno così si definisce, in cerca di una sua vendetta.

I costumi di Jacqueline Durran, gli effetti speciali di Dan Lemmon e Dominic Tuohy, la fotografia di Greig Fraser, la scenografia di James Chinlund, il montaggio di William Hoy equipaggiano il film di tensione, di un’emotività che coinvolge.

La gramamtica del film segue il pentagramma travolgente e drammatico, sorprendente, di Michael Giacchino.

Come Reeves non si adegua, perché non può, a un genere, cambiando prospettiva, osservando e facendo osservare, così Giacchino spazia dalla batteria all’opera, basandosi su due temi musicali, l’ “Ave Maria” di Schubert, cui dà un soave tono funebre e la ballata dei Nirvana “Something in the Way”, “usata come una sorta di leitmotiv per l’eroe alla Kurt Cobain di Pattinson” (Dana Stevens).